“Non parlare con i generali o me li fai diventare Chavisti”. Con questa battuta il presidente colombiano, Uribe Vélez, aveva risposto al suo omologo venezuelano, Hugo Chávez, che chiedeva di poter stabilire un contatto diretto con le forze armate Colombiane, per avere informazioni sui militari e poliziotti sequestrati dalle FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias Colombianas).
I fatti. E proprio questa è stata la causa della rottura dei negoziati per la liberazione dei sequestrati nelle mani del gruppo guerrigliero, e la fine della mediazione del presidente Chávez e della senatrice liberale Piedad Cordoba.
La Cordoba e il presidente Venezuelano erano da poco rientrati a Caracas da Parigi, dove erano stati ricevuti dal presidente Sarkozy per discutere i progressi del “intercambio humanitario”, tema che il presidente Francese ha molto a cuore , dato che la sequestrata più famosa è la Franco-Colombiana Ingrid Betancourt.
Durante una telefonata con il generale Mario Montoya, la senatrice, ha passato il telefono al presidente Chávez per dei saluti formali, durati, secondo la Cordoba, non più di 20 secondi.
Stop alle trattative. Durante la notte, il presidente Uribe, informato dallo stesso generale, ha deciso di interrompere ogni trattativa con le FARC e di revocare il mandato al presidente Venezuelano e alla senatrice Liberale.
Una goccia piccolissima che ha fatto traboccare un vaso vuoto.
Sembra davvero poca cosa una telefonata formale di 20 secondi per interrompere un processo così importante per chi è sequestrato da 4,5 o 10 anni.
Marleny Orjuela portavoce della associazione dei familiari dei sequestrati (ASFAMIPAZ) ha chiesto al presidente Uribe di mettersi per un minuto nei panni dei sequestrati o delle loro famiglie.
Altri famigliari come Lucy Gechen de Turbay hanno commentato tristemente che: “ci dispiace molto che si spenga la luce della speranza che avevamo di ricevere prove di vita e la liberazione”.
Fabrice Delloye ex marito di Ingrid Betancourt e Juan Carlos Lecomte, suo attuale compagno, hanno invece convenuto nei loro commenti che il presidente Uribe non ha mai avuto nessuna intenzione di arrivare ad un accordo e “come al solito quando ci sono reali possibilità di una liberazione lui pone degli ostacoli”, sono convinti che la telefonata di cui sopra non sia altro che un banale pretesto.
Dall’Eliseo, Sarkozy, attraverso il suo portavoce, ha fatto sapere che: “Continuo a credere che la gestione del presidente Chavez sia la migliore possibile” e che “chiedo al presidente Uribe di lasciare che la negoziazione continui”, ha anche annunciato che farà avere al presidente Colombiano una lettera dall’ ambasciata.
Il professor Moncayo. Ormai famoso in tutto il mondo per le sue camminate di centinaia di chilometri per chiedere la libertà di suo figlio, ha appreso dalla notizia mentre si stava recando a Caracas, dove pensa di arrivare tra qualche settimana. “Chiedo al presidente Uribe di cambiare idea”. Proprio oggi suo figlio compie 10 anni nelle mani delle FARC.
Ciò che realmente preoccupa il presidente Uribe è che il gruppo guerrigliero stia approfittando della situazione per guadagnare visibilità internazionale, senza, per il momento, aver dato nulla in cambio, neppure le prove di sopravvivenza che la scorsa settimana sembravano tanto vicine. Altro tema che non si digerisce nel palazzo di Nariño è che il presidente Chávez si sia tenuto equidistante dalle parti, cosa che contribuisce a diffondere l’idea che la colpa della situazione dei sequestrati sia condivisa tra i sequestratori e chi poco ha fatto per la loro liberazione.
Se da un lato è indubbio che questa sia una strategia delle FARC e che la rinnovata attenzione internazionale giovi al gruppo, dall’altro lato è sconcertante che la paura della propaganda conti di più della vita dei sequestrati.
Sembra comunque improbabile che questa importante esperienza di mediazione, spesso definita come l’ultima speranza, si concluda in modo tanto improvviso e senza alcuna ragione seria, contro il volere della comunità internazionale e dell’opinione pubblica Colombiana.
Proprio oggi era previsto un incontro tra i due presidenti a Bogotà e da più parti si spera che un incontro, magari in una zona di frontiera tra i due paese, nei prossimi giorni, possa rimettere in marcia il processo.