L’altra Bolivia che cospira contro Evo

Scioperi e bombe Le spinte centralizzatrici di Morales e le resistenze autonomistiche di Santa Cruz scuotono il paese. E fanno salire la tensione
di Pablo Stefanoni (il manifesto 7/10/2007)
La Paz

 La recente decisione del governo di Evo Morales di ridurre una parte delle imposte petrolifere ai governi regionali – con l’obiettivo di finanziare un’assicurazione sulla vita per tutti – ha riacceso la miccia di quello scontro regionale che costituisce uno dei principali fattori di instabilità politica in Bolivia. A questo proposito, lunedì scorso lo stesso Morales ha capeggiato una marcia di anziani per appoggiare la decisione, a cui si oppongono i governi locali, soprattutto quello di Santa Cruz, imbarcatosi in una battaglia per l’autonomia regionale che le potenti élite locali percepiscono come una resistenza al «populismo indigeno» di Evo Morales, maggioritario a livello nazionale.
Questa battaglia si combatte su vari fronti: dal Palacio Quemado si segnala l’esistenza di rapporti poco ortodossi tra settori di Santa Cruz, paramilitari colombiani e l’ambasciata degli Stati uniti per cospirare contro il governo socialista. Dall’altra parte, il governo di Santa Cruz denuncia un’ingerenza venezuelana che mirerebbe a trasformare il governo di Morales in una «dittatura chavista». In questo solco si sviluppa la nuova puntata della telenovela di scontri a distanza tra l’ambasciatore statunitense Philip Golberg e il governo boliviano; scontro attivato questa volta da una fotografia – apparentemente scattata per caso – del diplomatico con il presunto delinquente colombiano John Jairo Venegas Reyes durante la fiera industriale Expocruz.
Un incidente mostra la psicosi dominante in questo momento: il 18 ottobre scorso, il governo boliviano ha mandato i soldati a occupare l’aeroporto internazionale di Viru Viru – il più importante del paese – per «disattivare una rete di corruzione» nelle autorità aeroportuali. Dopo pochi minuti, il governo locale e il comitato civico – che riunisce varie organizzazioni locali ed è dominato dagli impresari – ha fatto appello alla popolazione perché questa riprendesse possesso dell’aeroporto, di fronte al presunto tentativo del governo di trasformarlo in «zona liberata» per l’ingresso di militari venezuelani. Nel mezzo di questo clima, il prefetto di Santa Cruz Rubén Costas ha avuto modo di chiamare «macaco maggiore», «ratto» e «dittatorello» Hugo Chavez, facendo intendere che Evo Morales fosse il «macaco minore», che obbedisce a ordini venuti da Caracas. E la televisione boliviana ha trasmesso in profusione uno spot dell’opposizione in cui Chavez fa appello a creare «uno, due, tre… dieci Vietnam in Bolivia» se la destra cercasse di rovesciarlo. Alla fine dello spot, lo slogan ufficiale «la Bolivia cambia, Evo realizza» è stato sostituito da «Chavez comanda, Evo realizza».
Meno di una settimana dopo, bombe artigianali hanno colpito, senza provocare vittime, il consolato venezuelano di Santa Cruz e la residenza di alcuni medici cubani che lavorano in Bolivia nell’ambito del «Tratado de Comercio de los Pueblos», promosso come un alternativa al libero commercio di stampo statunitense. Il ministro del governo Alfredo Rada ha messo in relazione gli attentati con «le violente, avventate e equivoche parole» di Costas.
La destra soffia sul fuoco per mettere in crisi la sinistra indigena al governo. Nei recenti scioperi civici a Santa Cruz contro Evo Morales si sono potuti vedere giovani della della Unión Juvenil Cruceñista mentre pattugliavano in giro per la città con messaggi razzisti e facevano chiudere con la forza i negozi che si azzardavano a tenere aperte le porte. Allo stesso tempo, gruppi di proprietari terrieri annunciavano la costituzione di gruppi di autodifesa di fronte alla nuova riforma agraria promossa dal governo indigeno. Vari settori di Santa Cruz hanno appoggiato la violenta richiesta di Sucre di tornare a essere la sede dei poteri esecutivo e legislativo; il che ha portato alla chiusura temporanea dell’Assemblea costituente.
Così non è strano che tra i settori popolari – soprattutto contadini – che sostengono Evo Morales si sia riattivato il timore di fronte alla potenzialità destabilizzante dell’«oligarchia cruceña». Da questi settori sono partiti i colpi di stato contro governi popolari come quello del generale Juan José Torres nel 1971. Tuttavia, Evo Morales è fiducioso che «anche se i gruppi conservatori bussano alla porta delle caserme, i militari hanno oggi un’altra mentalità» e rimarranno sordi a questi richiami. .
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